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Il vino della casa

E’ un tema di posizionamento complessivo del sistema HORECA italiano. E’ un tema, molto serio, che riguarda la presenza sul mercato mondiale della ricettività, che si propone come creatore di identità territoriale a servizio dell’accoglienza. Mi riferisco alla condivisione del “vino della casa” a fronte delle richieste degli avventori in ristoranti, trattorie e, perché no, pizzerie e street food. Cosa bere, a costo contenuto, senza impegno circa la valutazione sulla carta dei vini? Come si posiziona l’offerta del locale?

A fronte di prodotti organoletticamente ineccepibili, serviti in caraffe o bottiglie, quartini e mezzanini, è necessario fare uno sforzo in più, per qualificare la ricettività, dare un senso di territorio e soprattutto coordinare un’immagine positiva e serissima a livello di mercato domestico e mercato internazionale.

A beneficio di coloro che utilizzano il locale per una serata di svago e buona tavola ed a beneficio degli avventori esteri, che vogliono condividere una esperienza, spesso indimenticabile.

E’ necessario migliorare nella proposta, passando necessariamente dal conoscere e far conoscere con un racconto coerente il liquido e non solo il solido alimento.

Al cliente può essere proposto in questo senso, rinnovato approccio di origine e prossimità, un “vino della casa”, come detto, sfuso, bevibile ma anonimo, magari proveniente da un’altra regione, ovvero un “vino della casa” della Denominazione insistente sul territorio, ovvero un IGP che richiami comunque vitigni che hanno qualcosa a che fare con il posto e il locale. Laddove i disciplinari lo consentono anche sfuso ma deve esserci un qualcosa che contraddistingue la presenza rispetto alla distribuzione generalizzata.

Certo nessuno ascrive alla birra, che spesso fa un lungo viaggio, le caratteristiche di prodotto sostitutivo, alla spina, in caraffa, in bottiglia o lattina. Nessuno vuole scalzare le bibite o ridurre l’acqua al semplice lavaggio delle mani per godersi la frutta di stagione. Qui stiamo parlando di concedere, per chi non lo fa già ovviamente, il giusto spazio ad un liquido alcolico secolare, un vero patrimonio del nostro paese, al pari della cucina.

Vaniamo ai costi. Sappiamo benissimo che un buon prodotto, spesso conferito da un imbottigliatore, può costare due o tre volte lo sfuso da caraffa. Per una vera presenza sul mercato fonte di narrazione e quindi di presa di posizione, occorre ridurre un pochino il margine e proporre lo stesso prezzo in carta. Ne trarrà beneficio la qualità, lo dico con rispetto di tutti, ma soprattutto l’identità e il posizionamento conseguente.

Piccola trattoria, in uno dei tanto splendidi borghi italiani. Bella cucina, gradevole servizio, ottime paste: manca spesso, troppo spesso, un vino della casa identificativo. Magari c’è una carta discreta, con prezzi medi e accessibili, ma manca la proposta naturale, centrale per avviare un racconto anche con il vino.

Ecco che allora un prodotto della Denominazione più conosciuta in zona, come vessillo del territorio, ma come e soprattutto posto come completamento del percorso di narrazione di, già detto, buona cucina e gradevole servizio.

Ristorantino di città, quasi messa giornaliera per avventori locali. Si gusta la cucina espressa, si beve acqua, perché poi cioè da lavorare. Manca un’offerta in caraffa o bottiglia capace di identificare il luogo, a prezzi contenuti, senza la fatica di leggersi una carta indomita che riserva soprese ma richiede dedizione.

O birra o vino anonimo, ripeto, con massimo rispetto per tutti, non possono essere le uniche proposte a buon mercato rispetto ad una bevuta alcolica da toccata e fuga, di soppiatto, direbbero i più.

Ci vuole un vino, spesso proposto da case imbottigliatrici di grandi dimensioni ma anche da piccoli, perché no, che sia fondato su un solido disciplinare, un DOP che identifica il territorio pienamente o un IGP che diventa l’emblema di un territorio più ampio ma sistemico, al locale e alla città.

Ridurre il margine per l’oste è sempre difficile e complica la vita di tutti ma quello che si perde lo si guadagna subito in visibilità, presenza, caratterizzazione.

Concludo con un più ampio aspetto da approfondire pienamente in altre sedi. Il consumo di vino, lo sappiamo tutti, è drasticamente in calo da almeno 30 anni. Sia in Italia, che in Francia, che in Spagna, che da sole producono il 50% del vino mondiale.

Inutile dire che nel 2010 un italiano medio consumava quasi 56 litri di vino per anno. Oggi siamo drammaticamente a 28 scarsi. La fonte è il blog di www.8wines.it ma potrebbe essere qualsiasi altro a illustrare che il trend è estremamente negativo e non accenna a migliorare.

Difronte a questo è imprescindibile per chiunque, produttori e ristoratori, ma anche consumatori che voglio ben difendersi, presenziare il mercato con identità, narrazione di territorio e riconoscibilità. La qualità è innegabilmente ormai un dato di fatto comune. Il vino italiano, in qualsiasi territorio, ha compiuto la sua evoluzione verso la solida qualità organolettica. I prezzi, che sono termine di differenziazione fondamentale per il vino, mercato scolasticamente richiamante la concorrenza perfetta, tendono ad essere ancora accettabili in ogni Regione, in ogni Denominazione.

E’ dovere di tutti lavorare quindi sulla proposta e la presenza nel territorio, facendo abbandonare al cliente l’idea che il vino è tutto uguale. DOP e IGP nel bicchiere e nella caraffa come “vino della casa” e chiunque comprenderà che la proposta è complessiva, il territorio si fa sentire, il modello è sostenibile.

Beviamo di meno ma beviamo in modo migliore, raccontandoci una storia comune.

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